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Business model flessibile per PMI creatrici del proprio destino (e quindi immuni alla crisi)

Giulio Ardenghi

Il mio recente viaggio di aggiornamento negli USA mi ha fatto capire come il business model delle aziende sia diventato flessibile per uscire dalla crisi in modo duraturo ed essere causa del proprio destino e non vittima:

1) le barriere fra un settore commerciale e l’altro e tra le attività off e l’on line sono crollate,

2)  l’Mcommerce,  ovvero  il Mobile commerce, cioè il commercio elettronico mobile, tramite telefoni cellulari di terza generazione come UMTS è in rapida ascesa,

3) le aziende sono sempre più a geometria variabile con  fusioni e acquisizioni che diventano la via più breve ed efficace per la diversificazione e la crescita. Si parla di aziende ibride.

La guerra fra retailing ed e-commerce è finita

Questo comporta grandi opportunità per le aziende italiane, soprattutto per le PMI,  che vogliono sviluppare il fatturato, fare profitti, avere una cassa consistente e procedere ad acquisizioni o distribuire lauti dividendi ai soci, usando la tecnologia digitale al servizio del cliente.

La guerra fra aziende commerciali  hi-tech e quelle tradizionali è una  categoria mentale e non più una realtà, visto che  la tecnologia è pervasiva di tutti i settori d’impresa.

Amazon uccide le vendite retail? Chi vende tramite “negozi”  sul territorio avrà ancora un futuro?

Anche gli imprenditori sovente vedono la tecnologia  come un settore separato dell’economia.

Ci sono aziende telefoniche, minerarie, energetiche, banche e ci sono quelle tecnologiche. Questo è il pensiero comune, ma è superato dai fatti.

La tecnologia sta entrando pesantemente in tutti i settori della nostra vita e vedo che la separazione nei settori di business sta cedendo.

Ho ricordato nel mio precedente articolo sia Amazon che WalMart

Entrambe le aziende stanno diventando multi channel e Amazon anche multi business.  Tutte hanno adottato un business model flessibile.

Gli operatori on line aprono “negozi”

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Molti operatori on line stanno aprendo negozi perchè  il 69% delle vendite passa ancora dai negozi.

Apple ha negozi, Micrososoft ha negozi, Amazon ha un piano per aprire 100 negozi.

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L’ecommerce vale il 20% , i grossisti/distributori il 17% e il mobile commerce il 6%.

Amazon NON è un ‘azienda tecnologica. E’ un’azienda che fa business anche nel retail on line e off line. Scrivo anche perchè il suo fatturato consolidato è di 120 miliardi di dollari , di cui “solo” 50,4 mia nell’on line retailing.

Il 55% del profitto operativo di Amazon proviene da AWS, difficile definire ancora Amazon un marchio e-commerce.

Questo è un altro punto che specificherò più avanti: non ci sono più perimetri operativi fissi in cui un’azienda si autolimita nel fare business. Si applica l’approccio del business model flessibile.

Si parla di Marketing miope quando in azienda si rimane ancorati al proprio perimetro operativo, senza prendere in considerazione altri business, non solo altri canali. Questa miopia è diffusa nelle PMI che pensano di essere troppo piccole per cambiare il proprio modello di business.

Il percorso opposto lo sta compiendo Wall Mart (fatturato di 476 mia di dollari pari al 25% del PIL italiano) che sta modificando il proprio modello di business.

Non si è limitata al take over di un’azienda di e-commerce, ma ha lanciato in concorrenza con Amazon Prime, Wal-Mart Pay  e il sistema di consegne gratuite Shipping Pass, inoltre ha aumentato gli hub logistici  sia per assicurare consegne in 48h, sia per aumentare la disponibilità prodotti.  In altre parole si muove anche nel settore dei servizi di  e-payment e rinforza la supply chain.

Perchè l’ha fatto? Proprio per sfruttare le percentuali di crescita del commercio on line pari a +15,7% a/a, contro un + 2,6% del retail (dati USA). Non sarà comunque facile avere un modello di business flessibile per una giga azienda.

Potrei dire che la GDO (grande distribuzione organizzata) americana vede i “negozi” come cash cow  e l’on line come possibili stelle che brilleranno fra qualche anno.

Il contrario avvine per le aziende e-commerce che vedono il retail on line come la “mucca da mungere” e l’apertura di outlet fisici come vettori di sviluppo. Il busines model flesibile vale per qualsiasi azienda dalla più grande alle PMI.

Subito cito un esempio italiano la COOP che con un catalogo on line di 13.000 articoli non alimentari cerca di adeguarsi al cliente che cambia. Ma non basta fare investimenti importanti in logistica, occorre cambiare cultura mettendo davvero il cliente al centro di tutti i processi aziendali in modo da potergli offrire offerte ritagliate sulle sue necessità.

Per questo occorrono algoritmi complessi, la gestione di big data e una presenza attiva sui social media. Questi sono importantissimi influenzatori d’acquisto, soprattutto nelle fasce più giovani di clientela. Solo il” click and collect” non basta per dire che sono causa del cambiamento e non vittima.

L’Mcommerce, ovvero il commercio via smartphone

Di più, lo smartphone Mcommerce, che in USA riguarda già 87,8 milioni di persone, con un load time velocissimo, permette già di iniziare una customer experience che terminerà in negozio. Qui avviene ancora la parte più pregiata della Cx o Esperienza del consumatore. Il modello di business  flessibile cambia in continuazione. Le nostre GDO e GDS (Grande Distribuzione Specializzata) stanno facendo passi avanti, ma troppo lentamente.

Come WalMart con i potenti mezzi a disposizione e con un rinnovato focus del management sull’ecommerce potrebbe diventare  il vero concorrente di Amazon nel retailing on line, soprattutto potrà essere molto competitiva sui prezzi.

In Italia Esselunga,  in cerca di acquirenti (Carrefour?) per un valore di €6,5 mia, sente la difficoltà  di  contrastare la concorrenza con Amazon nel food e non solo. Lo potrebbe fare solo se sviluppasse un Mcommerce all’avanguardia e non solo un catalogo di acquisti on line. Pur consapevole che il costo maggiore è dato dall'”ultimo miglio”.

Ma Esselunga (lasciando da parte le lotte intestine alla famiglia fra padre e figli) ha le competenze in casa per gestire l’on line shopping? Dubito. L’esperienza americana dice, con i fatti, che è più facile, veloce ed efficiente fare un’acquisizione di una .com già attiva con successo nel settore. Essere causa del cambiamento impone un business model flessibile implementato con efficacia. Non è il caso di Esselunga, che diventa monito per la GDO in generale.

Multicanalità e multibusiness

In Italia ci sono alcuni operatori che potrebbero sviluppare un potente sistema multicanale e multibusiness:

penso a Prenatal e ad Amplifon che hanno sia punti vendita che vendite on line, che possono sviluppare un modello di business flessibile davvero integrato fra vari canali con l’appoggio dei socialmedia e dello smartphone Mcommerce per far vivere ai propri clienti un’esperienza unica e irripetibile.

Non solo la generazione più giovane usa gli smartphone, anche molti adulti li usano anche solo per trovare il “negozio” più vicino della marca che stanno cercando. Tendenza che si sta affermando anche in Italia.

Tuttavia, di nuovo, per compiere questo passo e rivedere il proprio modello di business e renderlo un business model flessibile garantendo ciò che più è importante, cioè una Cx unica, occorrono competenze che il marketing miope a volte stenta a vedere o a mettere in atto per mancanza di investimenti e di audacia.

La rinascita del marketing

Molte aziende non investono a sufficienza in formazione dei propri responsabili Marketing. La tecnologia cambia velocemente e il markeing deve stare al passo e soprattutto essere in grado di vedere “The Big Picture”in modo da portare l’azienda ad essere causa del cambiamento e non vittima. Così da uscire una volta per sempre dalla crisi.

Il marketing crea la “relazione” ovvero un mezzo per costruire valore insieme ai clienti, non un fine per “vendere più prodotti”.

I dati parlano chiaro tra il 75% e il 95% dei nuovi prodotti o servizi sparisce dal mercato in poco tempo.

La causa principale, secondo l’eminente Harvard Business Review, è proprio data dal concentrasi troppo sul prodotto e sulle vendite perdendo di vista i reali bisogni del consumatore, la sua gestione, la cura della relazione.

Questo vale sia per i beni di largo consumo che per i beni di lungo consumo o industriali.

Il marketing è lì per farti capire che il tuo busines non è il prodotto, ma il tuo cliente. Il tuo business model flessibile partirà proprio dal cliente.

Molte PMI, ma anche aziende di una certa dimensione, sono ancora product driven invece che customer driven.

In un mondo dove la  tecnologia permette al cliente di ottenere informazioni, fare confronti, ordinare quando e come gli pare, la miopia può costare cara.

Inventare e non solo reagire

Inoltre, meglio essere un’azienda che causa il cambiamento, che crea il nuovo, piuttosto che un’azienda che reagisce (se non diventa vittima prima) ai mutamnti dei bisogni del consumatore.

L’imprenditore preferisce il rischio all’incertezza. Preferisce rischiare di avere un rappresentante in UAE, all’incertezza sui nuovi media, i cui effetti non sono sempre misurabili nel breve.

Prenatal potrebbe avere un canale tv destinato alle donne in attesa, alle mamme, ai bambini. Un sogno?

Di certo era un sogno anche quando Graziano Fiorelli acquistò l’azienda e creò sinergie con l’allora operatore della vendita a distanza Vestro, di cui era il CEO.

1-vestro-catalogo-1985-1986.

Inoltre, Fiorelli, che certo non soffriva di miopia imprenditoriale, aprì alcuni negozi con insegna Vestro.

Quelli che oggi chiameremmo flagship store per rinforzare il marchio e per permettere ai clienti di toccare gli articoli, cosa non possibile nella vendita a distanza su catalogo.

Nella metà degli anni ’80 del secolo scorso ( fa una certa impressione scriverlo) egli inventò quello che oggi viene chiamato “reverse e-commerce”. Cioè aziende con business on line che aprono punti vendita fisici. E lo“showrooming”, parola che indica il comportamento dei clienti che visitano un negozio fisico, cercano un prodotto di loro interesse e dopo averlo visto e toccato con mano lo acquistano comodamente da catalogo (oggi online) da casa. Inoltre, il direct marketing e la gestione di database clienti erano strumenti di lavoro quotidiani.

Anche qui il modellodi business era flessibile e si adattava alle esigenze del consumatore, anzi era causa di cambiamento.

Oggi Graziano Fiorelli è Presidente di Mail Box etc (video intervista) con 1.600 outlet in 30 Paesi. Grande imprenditore e top manager capace d’inventare nuovi mestieri, vedere lontano, circondarsi di talenti,  e creare regni. Chapeau.

L’off-line è più dinamico dell’on-line

Queste esperienze nostrane  vanno ricordate. Infatti,  a mio avviso sono le aziende off-line che hanno un modello di busines più flessibile rispetto a quelle on line in Italia.

Inoltre, a mio avviso, ha cambiato di più il mondo l’invenzione delle scatolette di metallo per la conservazione e il trasporto di cibi che Facebook. E che dire della lavatrice che ha liberato tempo alle donne così da poter entrare nel mondo del lavoro, altro che Snapchat.

Nuova vita per i negozi tradizionali

Credo anche che i negozi tradizionali  che integrano le vendite on line nel proprio business model abbiano di fronte un futuro roseo. E’ un cambiamento irreversibile, fattene una ragione. Solo chi resta ancorato alla bottega soffre,  o ha già chiuso perchè non ha creato il proprio cambiamento, non ha creato il proprio futuro integrando l’on line.

Ti ricordo che la crescita delle vendite on line è una % delle vendite retail, ovvero è quota di conquista.

Il 92,8% delle vendite retail sono fatte ancora nei negozi. Ma la velocità di erosione dell’on line è molto veloce.

Quindi i negozianti smettano di lamentarsi e adottino un business model flessibile integrando anch’essi vendite on line che, tra l’altro, aiutano anche la marginalità. L’esempio macroe’ WalMart, l’esempio micro è il negozio sotto casa.

Succede che il cliente, confrontando i prezzi per un articolo, molte volte trovi  in un sito web di un negozio  un PDV (prezzo di vendita) più vantaggioso che su  Amazon.

Se non tela senti di creare e gestire un sito di vendite on line, il minimo che puoi fare è avere una pagina Facebook sponsorizzata e mirata adatta per device mobili o, ancora più facile, fare pubblicità sui pochi social versione”mobile”(smartphone).

Creare una Cx (customer experience) integrata on line  e in-store è un’opportunità imperdibile per i negozi. La cui crisi, a mio avviso, è sovra enfatizzata. La cura sta nell’integrazione dei due canali.

I tre principali, e logici, vantaggi sono:

  1. estensione dell’orario di vendita
  2. un mercato più ampio
  3. muovere gli stock

Via subito l’alibi: “Ma è complicato. Non sono capace”. O studi e in Google trovi centinaia di esempi su come vendere on line o fai un piccolo investimento e ti affidi a chi ha già realizzato, con risultati tangibili e verificabili, siti di vendita per negozi come il tuo.

Il mio parere non incontra il favore di alcuni esperti, ma la realtà dei fatti, lavorando gomito a gomito con gli imprenditori,  mi dà ragione.

Sono più le aziende che hanno punti vendita o che vendono (direttamente o indirettamente)  in “negozio” a utilizzare la tecnologi digitale per far compiere al proprio cliente un’esperienza unica e completa, piuttosto che il contrario. E anche se c’è ancora molta strada da fare per adeguarsi alle esigenze delle nuove generazioni, mi è difficile trovare nomi dell’ecommerce italiano che abbiano aperto “negozi” con la propria insegna. Trovo più business model flessibile nella old economy che nella new economy, salvo eccezioni, come Amazon appunto.

Cambiare si può, essere causa del cambiamento è possibile, , è una questione di visione, di conoscenza del mondo, di captare i segnali deboli dei consumatori e dei loro bisogni. Occorre studiare, aggiornarsi, testare e logico fare cassa per finanziare gli investimenti di R&S (ricerca e sviluppo), logistica ( supply chain), sistemi digitali, marketing e acquisizioni.

Nella lista dei primi 100 operatori di ecommerce in Italia troviamo, oltre ai soliti noti, aziende del settore turismo, moda, editoria, tempo libero, commercio.

Scorrendo la lista puoi vedere chi ha adottato un business model flessibile che comprende la multicanalità, chi ha varcato i confini del suo business originario, e chi invece è rimasto ancorato al business principale.

Sono pochi gli operatori italiani nati on line che si muovono verso il retail fisico. Eccezione: banche come ING con le filiali arancio.

Quando nascerà davvero una banca con un approccio olistico al cliente? Mai, dicono i pessimisti. Certo che farebbe boom soprattutto sulle generazioni Y e Z, “Ma questi non hanno soldi”, mi dirai.

Già, ma perchè Unicredit (e consorelle) lancia i conti per i millenials ed è fra le  prime aziende a fare tentativi di smartphone Mcommerce dando la possibilità di aprire un conto dallo smartphone con un’app dedicata, appunto, perchè il cliente affluent di domani va avvicinato oggi.

Le banche forse non sono simpatiche, ma non sono miopi. E cassa ne hanno per investimenti di adattamento del business model flessibile.

Le filiali UBS in Svizzera usano la realtà aumentata per presentare piani d’investimento ai potenziali clienti.

Il business model flessibile in azione

a) chi si occupa di retailing, come la GDO e la GDS, deve vedere l’e-commerce come fattore di sviluppo, deve portarsi in casa le competenze e le piattaforme tecnologiche  più efficienti, completandole con servizi di e-payment,  consegne veloci e gratis e un rafforzamento della propria logistica, magari acquisendo un’impresa di e-commerce già ben avviata,  se ha i mezzi per farlo.

Chi ha capito le opportunità e ha smesso di guerreggiare sono le catene di marchi in franchising come appunto MBE

b) chi è leader in un settore deve prendere in considerazione di allargare il proprio perimetro operativo in altre aree vicine o lontane.  Come Amazon prime tv.  Cosa c’entra la tv in streaming con un’azienda nata con la vendita di libri on line?

E cosa c’entra l’Apple con la Formula 1? ( vedremo grandi cambiamenti in un mondo statico),  con gli smartphone e i tablet?

Chi saranno i 5 players dell’automotive tra 10 anni? Al momento ci sono 33 aziende che lavorano sull’auto che si guida da sola, e tra queste troviamo i brand tradizionali dell’automotive, ma anche aziende con altissimo contenuto tecnico. E che dire di Tesla (video) che produce veicoli elettrici 100% che si guidano da sole?

Ti ricordo che la prima auto Smart venne sviluppata all’inizio  dalla collaborazione (1996) fra Hayek patron della fabbrica di orologi Swatch e da Mercedes Benz,  per poi essere assorbita completamente da quest’ultima.

Tutte queste aziende hanno un fatto in comune: un modello di business flessibile, che cambia le regole, che causa il cambiamento, che collabora con il cliente di cui conosce il profilo.

Wal-Mart ha deciso di vendere on line con altro marchio. Non vuole in nessun modo mettere a repentaglio il proprio business nel retailing. Può valere anche per le PMI.

Le grandi aziende di successo vanno studiate per apprendere lezioni da applicare alla propria realtà anche se su scala ridotta.

E’ presunzione e arroganza disdeganre questi confronti dicendo che: “Ma loro sono cento volte più grandi di noi”. Appunto, ci sarà una ragione.

Il posizionamento delle aziende è un valore intangibile,  di altissimo pregio, creato nel tempo. Il business model flessibile è la road map per essere causa di cambiamento e non subirne gli effetti uscendo così dalla crisi una volte per sempre. Reagire non basta più. Sei in ritardo.

Ci sono eminenti critici alle strategie che ho appena esposto. Tuttavia, la realtà empirica, le esperienze dirette con i miei clienti, i risultati, mi stanno dando ragione.

Il Marchio arma di attacco o di difesa

Critiche: il marchio identifica un business specifico e non va utilizzato per le diversificazioni. Ma per le differenziazioni. E’ la teoria della lunga coda.

Vero. E’ una scelta difficile.

Io credo che più forte sia il marchio, soprattutto se l’azienda è leader del settore, più possa essere il pass partout per entrare in vari canali e settori di business e quindi essere causa di cambiamento.

The biggest takes it all (il più grande prende tutto) è una regola base del business.                                                             Es. Amazon, guarda come usa sempre il marchio madre.brand-management-study-of-amazon-4-728

E’  nato un nuovo settore di business: AmazonVehicle un nuovo portale dedicato agli appassionati di auto, Jeff Bezos, patron di Amazon  è inarrestabile. La tag line dice: “see specs, read review, and ask owner”. Il piano è anche di entrare nello streaming di eventi sportivi in diretta.

Si aggiunge Amazon Restaurant, per ora solo a Londra, ovvero, la consegna diretta di pasti da ristorante a domicilio del cliente, costo zero se la consegna supera le 15£.  Amazon è l’esempio di come le barriere fra un busines e l’altro non esistano più e come si integrino ecommerce e retailing.

Ma se il nostro imprenditore teme l’incertezza del risultato,  allora sono a favore della strategia WalMart che si presenta nell’on line shopping col marchio dell’azienda acquisita.

Oppure se il mio fatturato o il mio profitto (c’è differenza nella strategia) proviene da un canale consolidato, devo proteggerlo assegnando a quel canale il mio marchio in esclusiva. Potrò entrare in altri canali o business con altri marchi (e con gli investimenti necessari) fatti in casa o per acquisizione. Diventare causa del cambiamento, e non vittima di esso, è sempre possibile.

Esempio di PMI che applica questa strategia è la BGP (pavimentazioni)  con il marchio (bello) di qualità Antica Falegnameria Annoni e Perego  ( sito decisamente migliorabile) destinato solo a rivenditori autorizzati con prodotti di alta gamma. E’ il marchio della boutique del gruppo. Anche se è nato, a mio avviso,  con un logo che non è adattissimo all’uso sui social e nello smartphone Mcommerce per la lunghezza.

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Se il marchio è debole, allora meglio muoversi a falange macedone, compattando gli sforzi commerciali e l’uso del marchio sul canale principale. Certo che se per ragioni di sviluppo, ampio la gamma di prodotti o servizi spostandomi da item cash cow a sistemi complessi in start up, forse dovrò comunque accedere a canali più specifici mantenendo il mio marchio, se sono prodotti o servizi di contiguità.

Il business model flessibile va adattato alle potenzialità dell’azienda, alla sua voglia di essere causa di cambiamento e non solo un’azienda reattiva, il rischio è di subirne gli effetti e di rimanere impantanati.

Esempio. Di recente, facendo business coaching efficace per un’azienda specializzata in tecnologie avanzate per la sicurezza industriale, si è deciso di acquisire un’azienda in fase di start-up specializzata nella costruzione di droni per la sorveglianza. In questo caso si è imposto il marchio dell’acquirente anche per i droni.

Altro esempio. Un cliente, media azienda, con un team manageriale con i fiocchi, ma con un marchio non ancora pienamente affermato anche se in rapida ascesa, stava prendendo in considerazione  di entraree nel canale della grande distribuzione e nell’on line  con un brand commerciale nuovo, ma con la sponsorship del marchio madre, tradotto con un “by omissis”.

A me dà l’idea di acquistare un prodotto della stessa categoria , ma di qualità inferiore. Decisione presa: meglio stare alla larga e applicare la strategia della falange macedone,  della coda lunga.

Ovvero, presidiare il principale canale di vendita attuale, rinforzare le risorse sul territorio sia per efficienziare il flusso OCF/CCF ( ordini clienti e consegne a clienti), sia per sviluppare il fatturato per grossista che per conquistare nuovi punti vendita e assicurare un’assistenza tecnica d’eccellenza, focalizzando il lavoro della forza vendita sul cliente.

In altre parole, non si è modificato il modello di business, lo si è allargato e reso più efficiente per l’introduzione di nuovi sistemi.

All’on line non sfuggi

Nella realtà, ho verificato che  articoli di questa azienda sono comunque presenti su molti portali di materiale elettrico, e non solo, come ad esempio Elettronew

In altre parole, non ostante la strategia giusta della lunga coda, qualche item entry level è scivolato “spontaneamente” sui portali on line.

All’on line non scappi.  Volente o nolente i tuoi servizi o i tuoi prodotti (magari da primo prezzo) ci finiscono. Come? “Mistero”. E’ il quarto segreto dei miei amici responsabili commerciali. Anche del tuo.

Differenziazione e diversificazione

Altro esempio pratico, la BGP, nata come azienda che vendeva solo parquet, ora non solo produce in casa la gamma più alta, ma ha introdotto in catalogo materiali laminati,  in vinile, in WPC, melaminici, ecc. per coprire anche il settore commerciale e industriale. Non da ultimo, vende col proprio marchio prodotti per la manutenzione. E’ evidente che il fatturato si spalmi su più tipi di rivenditori specializzati per settore.

BGP (non è una mia fissa, anche se è un mio cliente, ma soprattutto  un valido, concreto esempio)  è una PMI che rivede in continuazione il roprio business model flessibile.

Può entrare in altri settori  della pavimentazione: industria alimentare, zootecnia, da giardino, da autorimessa e parcheggi, ad esempio, e sviluppare pavimentazioni in calcestruzzo e resine. Magari con specifiche anti batteriche e anti sporco o mangia smog utilizzando formule al TO2. (biossido di titanio).O ancora, occuparsi di fornire impianti di riscaldamento sotto parquet.

Quando con la proprietà diciamo che il fatturato può moltiplicarsi, non scherziamo, consapevoli delle conseguenze a tutti i livelli, per questo è stato adottato il business model flessibile.

Eventuali partnership o acquisizioni sono da considerarsi per lo sviluppo aziendale, sempre con un’ossessiva ( e compulsiva) attenzione agli economics, logico.

Faccio un altro esempio per chiarire questo importante punto.

Ti ricordi le tabaccherie di 10 anni fa? Vendevano sigarette, accessori per il fumo e valori bollati. Stop.  Oggi trovi di tutto anche i tickets INPS, puoi pagare il bollo auto, le bollette, ecc.  Altro che  modello di business flessibile per essere causa di cambiamento e non vittima della crisi.

Quindi allargare il perimetro operativo è possibile proprio a tutti. Solo la miopia congenita porta al disastro.

C’è chi considera il marchio (e il logo)  solo come segno grafico di riconoscimento. Ma ogni marchio ha un significato e un valore diverso a seconda dei clienti.

Esempio. Una futura auto Google (video)  può incontrare il rifiuto di una persona di 55 anni. Ma per un giovane di 20, cresciuto a cereali integrali  e “mela”, potrà essere più famigliare e più sexy di un’auto Peugeot.

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Ancora, con le tecnologie IoT (Internet of things), tramite il tuo apple watch puoi controllare la tua Tesla

Elon Musk è il mago del business model flessibile usato per diventare causa di cambiamento.

Faccio un esempio, quale giovane chiede più al bar un’aranciata? Caso mai un energy drink come la Red Bull o Monster (+ 11.731% il valore di un’azione dalla quotazione in borsa). Quindi c’è chi è corso ad affiancare nuove linee di prodotto da generazione Z , (i nati dal 1995 fino al 2010)  alla gamma tradizionale e ad incrementare la comunicazione sui social media. Attento alla scelta.

Red Bull ha un marchio così forte che ha ampliato la propria gamma di energy drinks ed è diventato un caso di studio

Chi è più grande piglia tutto. O quasi.

Le dimensioni aziendali, il fatturato, la cassa, il profitto e i processi industriali permettono di acquisire un’azienda più piccola con le competenze d’eccellenza che ti servono per entrare in un nuovo settore o di creare una joint venture. Ecco alcuni esempi legati a un business model flessibile.

TIM con l’alleanza con  SKY e Mediaset Premium ne è un esempio.

Oppure ti permettono di vendere tutto, là dove il cliente vuole , subito e su qualsiasi mezzo off e on line.

BTicino (gruppo Legrand) ne è un esempio: trovi suoi articoli dal grossista, nel negozio specializzato, su varie piattaforme on line specializzate o generaliste come Amazon e e-Bay. Ovunque. Le dimensioni e la notorietà del marchio, con la gamma, lo consentono. E’ una strategia voluta basata sulla forza del marchio, ampiezza gamma e servizio al cliente (qui il cliente è l’installatore in primis, e poi il cliente finale).

Coop è il numero 1 della GDO (grande didtribuzione organizzata) e vende on line anche ciò che non trovi nei supermercati, ma la profilazione dei clienti e del loro comportamento d’acquisto è elementare. In casa non ci sono le competenze per sviluppare un algoritmo che permetta di fare offerte tailor made sulle necessità dei singoli clienti. Non ancora.

Confronta con Lowe’s, subito un pop up ti chiede la posizione o con Ikea. Quest’ultima a mio avviso sta facendo del reverse retailing, cioè sta diventando sempre più un’azienda orientata all’on line e alla social experience, mantenendo i punti vendita, che sono anche punti di ritiro articoli.

In entrambi i casi si dimostra come avere una visuale ampia e aggiornata della tecnologia ti permetta di integrarla nel tuo nuovo modello flessibile di business che causa cambiamenti.

Le PMI “old economy” non hanno i mezzi per poter vendere on line con le competenze di analisi e gestione dei big data interni o provenienti dai social media utilizzati. Per cui è più un servizio logistico aggiuntivo che offrono che un cambiamento di business model flessibile. Anche se, come detto prima, esse sono più dinamiche di molte aziende e-commerce.

Per una PMI meglio affidarsi ad Amazon e altre piattaforme generaliste o di settore dove esiste già un traffico di clienti. Troppo grande è lo sforzo per portarsi in casa competenze di alto profilo per gestire la profilazione dei clienti tramite algoritmi complessi.

Un esempio: se ogni settimana acquisti, fra l’altro, all’Esselunga 4×2 confezioni di yogurth magro alla frutta, una buona profilazione dovrebbe mandarti un messaggio per ricordarti l’acquisto, per proporti una promozione, per offrirti prodotti similari come formaggi magri. E magari suggerirti un libro sui vantaggi di una dieta sana senza rinunciare al gusto. Chiedendoti di dare il tuo parere sulla pagina facebook o sul blog dell’azienda.

In Italia il digital marketing soffre delle dimensioni delle aziende. E della miopia di marketing.

Miopia di Marketing

Agli imprenditori delle  PMI con cui lavoro faccio sempre presente che avere un sito web non è fare digital marketing, a meno che non sia gestito con competenza e costanza e con gli investimenti necessari.

Meglio gestire bene una pagina istituzionale su Facebook che lasciare un sitarello in agonia perenne.

Avviso ai naviganti: lo smartphone Mcommerce è la prossima (ieri) tappa dell’approccio sempre più olistico al cliente, le aziende sveglie già si muovono: il 63% dichiara che nel 2016 sta facendo più investimenti nel “mobile”. Sei anche tu fra queste? Ragioni  già con un business model flessibile? Vuoi essere causa di cambiamento? O ne subisci l’effetto e non ottieni risultati duraturi?

Il “mobile”  farà da ponte fra l’on line e l’off line business.

START-UP (attenzione pericolo)

Sono saturo di sentire possibili clienti, o più in generale, parlare di start up come una specie darwiniana a sè di azienda.

Secondo me è un termine che porta male. Infatti la mortalità è da epidemia.  Inoltre mi dimostra che chi parla non conosce nè le basi di economia nè di marketing.

Start-up è la prima fase o fase di lancio della vita di un’IMPRESA. Va gestita come un’azienda. Sin dai primi vagiti. Ho la netta impressione che invece il termine sia come un imprinting per una piccola attività fra amici, portata avanti con entusiasmo (che dura poco), approssimazione e confusione e senza un business model.

Ho seguito e seguo molti giovani imprenditori che avevano e hanno bisogno di un busines coaching efficace per un affiancamento nell’avviare l’attività commerciale che hanno in progetto.

La prima cosa che chiarisco è proprio questa: non mi occupo di start-up (animale mitologico), ma di aziende in fase di lancio. E non venirmi a parlare di incubatori di start up. E’ un business in sè. Che farà nascere specie strane di imprese con emivita breve, salvo le solite eccezioni con tanto di titoli sui giornali, ma che in pochi andiamo a verificare se dopo 3 anni esistono ancora. Occorre sempre partire dal business model flessibile se vuoi essere artefice di cambiamento e non rincorrerlo o subirlo.

Molto meglio acceleratore di start up che significa lanciare presto e bene un’attività per portarla in fase di sviluppo. Questo è il passaggio più critico perchè necessita di capitale circolante, di un modello di business chiaro      ( anche se flessibile) e organizzazione, ovvero metodo.

Far parte di un acceleratore di start up ha un grande vantaggio concreto, quello di metterti in contatto con eventuali investitori. Di solito, hanno un buon network di venture capitalist o business angels sempre alla ricerca di iniziative che possano fruttare lauti guadagni nel lungo periodo.

Suggerisco i lab del Politecnico di Milano HFarm,

Anche H2biz è un utile portale per fare networking e trovare finanziatori.

Questo approccio seleziona i miei clienti e chiarisce che ci vogliono competenze e qualità da imprenditore e non da improvvisatore.

Esempio positivo: con un giovane di 27 anni, cliente di business coaching efficace,  stiamo proprio implementando la fase di lancio della sua nuova impresa. Da subito abbiamo capito e condiviso che necessitava di un business model flessibile. Abbiamo lavorato sul giusto posizionamento (alto di gamma) e sulla strategia commerciale.

L’azienda partirà con un hub fisico di vendita e di logistica, con una presenza di vendita sulle piattaforme ad alto traffico per aumentare visibilità, su alcuni  portali mirati al profilo della clientela, su un paio di portali del lusso anche se non trattano la merceologia del mio cliente e sul proprio sito con l’appoggio di 2/3 social media di supporto. Inoltre sarà presente alle maggiori fiere di settore europee ( al debutto si è classificato terzo in un’importante fiera internazionale).  In altri termini multicanalità off e on line. Business model flessibile.

Tutto il team lavora intorno al cliente. L’investimento maggiore sarà nell’assicurare al cliente una Cx eccellente. Inoltre, cosa nuovissima, e scadenzata nel tempo, testeremo l’ecommerce conversativo “live” col cliente.

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Logico che il tutto è stato prezzato. La fase di start-up si svilupperà in un arco di tempo stabilito e diviso in più stadi.  Al più presto vogliamo generare cassa.

Di certo, il mio giovane e intelligente cliente non soffre di miopia. E crediamo entrambe che la presenza fisica sul territorio con un o più “negozi” e con fiere sia importante e insostituibile per le vendite (cassa) e per il cliente.

Il marchio, bellissimo e giusto, è stato realizzato utilizzando Fiverr una piattaforma multiservice e a basso costo che permette di accedere a competenze specifiche e internazionali ( il marchio è stato realizzato da una giovane esperta di New York). Il mio cliente vuole diventare con la sua azienda causa di cambiamento.

Un altro esempio di PMI? Un cliente con una media catena di ristoranti mi chiede di aiutarlo nell’aumentare il traffico dei ristoranti.

Dopo una rilevazione sul campo del tipo di clientela acquisita, constatiamo che mancano i millenials.

Trasformiamo 5  ristoranti ( poi si deciderà se estendere a tutti gli altri)  affinchè questo target si trovi in un ambiente che riconosce e che lo riconosce.

Menu su tablet con caratteristiche piatti: dagli ingredienti, al modo di cucinare, alle calorie,  presentazione menu giornaliero su mobile, possibilità di prenotare i piatti preferiti e di pagarli in anticipo con carta di credito, suggerimenti secondo i gusti del cliente fidelizzato, prese  per ricarica smartphone ai tavoli, formazione al personale su come si crea una customer experience positiva. Primo risultato: + 75% di coperti. Non è già un risultato consolidato. Ma l’inizio ha fatto bene al mio cliente.

Inoltre venderà prodotti alimentari confezionati e col marchio della casa in corner attrezzati all’interno dei ristoranti e on line.

I 7 cardini per lo sviluppo di una PMI

Tutti gli esempi pratici e concreti qui riportati  affermano come anche per  le  PMI valgano i seguenti principi:

  1. non esistono più barriere fra on line e off line
  2. non c’è più un ambito operativo statico
  3. non si può più fare a meno del marketing (off line e on line) per creare la relazione virtuosa con le persone/clienti e preparare l’azienda al mutamento continuo.
  4. non si può fare da soli ciò che non si è capaci di fare, meglio acquisire un’altra azienda
  5. la velocità d’implementazione è vitale e i  tentennamenti da incertezza sono micidiali
  6. essere pronti a modificare il proprio business model flessibile per diventare causa di cambiamento e non essere vittima dei suoi effetti
  7. è verificato che  guardare all’oggi ti porta un uovo e guardare pure al domani ti porta anche una gallina

all’interno di un business model flessibile che si adatti alle esigenze dei clienti che sono il vero capitale della tua azienda e che vogliono una relazione alla pari. Le aziende di successo, che guadagnano, hanno clienti contenti perchè essi si sentono ascoltati e partecipano alla creazione di nuovi item/servizi.

L’errore da evitare, per le aziende in fase di lancio (start up) o per le PMI che vogliono diversificare, è concentrarsi sul nuovo prodotto/servizio trascurando il come sarà proposto al mercato e come sarà finanziato, oltre a formulare un conto economico.

Ripeto ai miei clienti che lo sviluppo prodotto deve andare in parallelo con lo sviluppo del business model flessibile per capire qual è la proposta unica di vendita, il posizionamento, chi sono i clienti potenziali, i canali di accesso, il processo di acquisto, la social customer experience ( ex assistenza tecnica & customer care), il processo manufatturiero, la logistica, i fornitori, il finanziamento, il conto economico e per comprendere se, in realtà, sono causa di cambiamento o se stanno solo reagendo agli effetti del mercato.

Investire mesi per la messa a punto del nuovo prodotto senza aver definito in co-design come venderlo e a quanto venderlo, sviluppando un conto economico ad hoc,  è lavorare senza metodo e quindi pericoloso per il successo dell’iniziativa.

L’Italia non è nella classifica dei Paesi più innovativi. Ci mancano imprenditori che guardano lontano, manager con le competenze 4.0 in ambito industriale, marketing manager audaci e informati, sistemi finanziari e  tecnici al passo con la velocità di sviluppo delle tecnologie disruptive. Sembra che il nostro genio non crei più cambiamenti che mettono al riparo le PMI dalle crisi.

L’evoluzione industriale sino alla fabbrica 4.0 in un video di pochi secondi

Logico che ci siano eccezioni, che a volte, non balzano alla ribalta dei media come la:

Tino Sana storica azienda famosa nel mondo per la realizzazione di arredi per alberghi, navi da crociera e complessi comunitari di grande prestigio.  Nel 2016 l’azienda bergamasca ha firmato gli interni di sette navi da crociera, tra le più belle al mondo.

I Soldi

Per finanziare una differenziazione, una diversificazione, magari con acquisizione di un altra società o per lanciare un nuovo business occorre avere un capitale d’avviamento.

Ecco perchè  una PMi deve prestare una spasmodica attenzione ai margini dei prodotti cash cow. E’ essenziale per svilupparsi.

Per un neo imprenditore il finanziamento della nuova iniziativa, che va calcolato all’inizio del processo, può essere più complesso, ma sempre possibile. Va da sè che chi sviluppa applicativi avanzati nei settori più in trend come  l’AI (video), in italiano intelligenza artificiale, o  la realtà aumentata o virtuale (video), pittosto che nelle robotica industriale o nel settore Sanità attira più interesse  da parte di investitori che altri. Soprattutto se ha brevetti.

Ecco alcuni suggerimenti pratici:

  • redigere o far redigere un business plan da presentare a finanziatori privati
  • a finanziatori istituzionali, come fondi di private equity e banche ( un mio cliente recentemente ha presentato un business plan in banca per un’iniziativa nel Food&beverage  e ha ottenuto il consenso della banca)
  • a un business angel (anche straniero) per convincerlo della propria iniziativa e a  sborsare il capitale d’avviamento
  • cercare un’alleanza con un’azienda già avviata (di medie dimensioni) che voglia  accelerare lo sviluppo con l’ampliamento della propria gamma affiancandovi il prodotto/servizio dell’impresa in start up
  • creare  un’alleanza con più aziende per coprire l’intera domanda di settore. Esempio che ho seguito è Cactoos.cactooos
  • Partire, in particolare nei beni industriali, offrendo assitenza tecnica e una volta costituita una base di clienti propria  proporre la tua “macchina” entry level e, nel tempo, l’upgrading di gamma.
  • La tecnica del mio cliente di 27 anni è fare  cassa vendendo i prodotti sia in “negozio” che nelle fiere, in attesa di avviare l’ecommerce.
  • Ricercare fondi presso le istituzioni europee, nazionali e regionali. Ricordo che se un’attività viene avviata in un’area depressa i finanziamenti sono  più consistenti e più facili da ottenere.
  • Esempio pratico: ascolta l’intervista a Nicola Colonna cha da insegnante si è trasformato con successo in imprenditore nel settore materie plastiche;
  • altro esempio pratico l’eseperienza di Laura B. che ha aperto un’impresa con fondi di Sviluppo Italia. Nel link trovi la sua esperienza diretta ricca di dettagli operativi e riferimenti pratici
  • ricercare collaborazioni con i dipartimenti delle Università che hanno anche un network di  venture capitalist
  • ipotecare beni propri (estrema ratio)

La soluzione ibrida può essere la più praticabile, salvo verifiche di contesto, cioè creare cassa con un’attività di assistenza tecnica a operatori del settore (cassa a breve) e affidare la ricerca di finanziamenti a un vero esperto che agisca anche a Bruxelles per pagare gli investimenti dei primi prototipi della macchina più costosa. Certo, i tempi si allungano di molto rispetto ad altre soluzioni. L’esempio, adattato, vale anche per candidati imprenditori  della web economy.

Va da sè, che se vuoi diventare un neo imprenditore un po’ di soldi tuoi devi metterli nel tuo progetto.

Il business model flessibile per diventare causa di cambiamento e non vittima dei suoi effetti è il modo di pensare e il metodo più avanzato per dare una svolta alla tua azienda, alla tua attività professionale. Imprenditori, manager e professionisti devono diventare più protagonisti del cambiamento con metodo e audacia.

 

Per curare la miopia imprenditoriale, o vai dall’oculista o mi contattati per un appuntamento.

 

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p.s. Sento rumors da oltre oceano su un'”impossibile” santa alleanza fra Microsoft, Google e Facebook  e altre smart company per uccidere l’Iphone della Apple con un device che rivoluzionerà il modo in cui interagiremo col mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giulio Ardenghi
Giulio Ardenghi