Come ottenere il massimo dal business coach (fin dal primo, fondamentale contatto)

La cronaca di una richiesta d’intervento di business coaching che mette in evidenza cosa fare e cosa non fare. Sapere prima qual è l’obiettivo, come gestire il primo contatto, come informarsi sul business coach, come condurre l’incontro di conoscenza, chi deve essere il contatto. Una guida per rendere proficuo l’incontro, fin dall’inizio, sia per il cliente potenziale che per lo specialista di business coaching. Ecco un esempio pratico che mette in luce gli errori da evitare e dà i giusti suggerimenti per una collaborazione efficace. Una lezione pratica per evitare perdite di tempo per tutti.
Il primo approccio conta, eccome
Ricevo una telefonata dal dr. XY che mi chiede un incontro come “fornitore” per una formazione, e qui le cose si fanno un po’ confuse, sul team building, la cross fertilization, la comunicazione interpersonale, la gestione dei collaboratori per il vertice aziendale composto da 6 membri.
L’azienda fattura più di 140 milioni di euro nel settore manifatturiero.
Mi colpisce il termine “fornitore”.
Mai nessun cliente, sino ad allora, mi aveva identificato come un fornitore.
Riferisco che di solito il primo incontro di conoscenza, per policy, preferisco farlo in studio per essere più liberi di valutare il primo impatto e di esprimersi in totale confidenzialità.
Il mio interlocutore ribadisce con assertività che i fornitori vengono tutti ricevuti in azienda.
Di solito chi mi chiama è il titolare o comunque un membro apicale della struttura aziendale. In questo caso non mi è chiaro chi mi stia cercando.
Per farla breve, accetto di agendare un appuntamento presso l’azienda. La visita all’impresa è il secondo step che di solito pianifico, comunque.
In questo caso mi adeguo alle loro policy sui fornitori.
Il giorno dell’appuntamento mi reco all’indirizzo fornitomi. Il GPS mi dice “arrivo”, ma io non vedo nessuna insegna, nessuna costruzione che ricordi vagamente un’azienda da milioni di euro.
Chiedo a un gentile passante dove si trovi l’azienda WZ e, con mia sorpresa, mi dice che l’ho appena superata.
Faccio inversione a U e dopo 50m. vedo un’abitazione in un cortile con alle spalle quello che sembra un magazzino. Insegne zero.
Scendo dall’auto, controllo il citofono e in effetti vi è scritto il nome che cerco.
Suono. Quello che deve essere un portiere mi fa entrare chiedendomi cosa desidero. “Buongiorno, ho un appuntamento col dr. XY”, rispondo io.
“Ah va bene, parcheggi là in fondo e poi entri in quella porta”, che mi indica.
Entro in una reception, invisibile dall’esterno.
Mi rivolgo a chi credo essere la receptionist dicendo che ho un appuntamento per le 15,30 con il dr. XY.
“Si accomodi un attimino, che lo chiamo subito”.
Mi siedo in orario nell’angolo fornitori e aspetto fiducioso.
Dopo 20minuti (mmmh) ecco apparire il dr. XY che dopo una stretta di mano, mi invita a seguirlo in un soppalco senza finestre adibito a ricevere, penso io, i fornitori.
L’incontro
E’ del tutto normale che mi si pongano domande sulle mie attività pregresse. Logico.
Il colloquio si trasforma ben presto in un’intervista di quelle usate per assumere dipendenti.
Scopro che XY è un funzionario della direzione del personale, forse incaricato di fare colloqui di assunzione.
Dopo aver ottenuto tutte le informazioni del caso, finalmente XY mi illustra, in modo un po’ confuso l’obiettivo della ricerca di un coach: formare il gruppo apicale sui temi citati all’inizio di questo articolo.
L’obiettivo. Obiettivo?
Riassumo dicendo che mi sembra ricerchino chi può migliorare, in una parola, la leadership dei componenti il comitato direttivo.
Approfondiamo le mie esperienze in questo campo. Le illustro nello specifico, citando anche i risultati ottenuti e il metodo utilizzato per piccoli gruppi di manager.
A questo punto chiedo a XY quanto tempo avrei a disposizione per raggiungere l’obiettivo. “Si pensa che mezza giornata sia più che sufficiente”, mi risponde.
Gasp! 4 ore per trasformare 6 persone in leader efficaci.
Nel soppalco fa caldo, è estate, ma non mi viene offerto nemmeno un bicchiere d’acqua.
L’impulso è quello di interrompere subito e salutare gentilmente.
Resisto.
Spiego che per ottenere un risultato operativamente valido dovrei rilevare i punti di forza e debolezza di ciascuna delle persone coinvolte, di intervenire di comune accordo sui deficit, di sperimentare operativamente i progressi e di intervenire per il fine tuning.
Sottolineo che, per questo approccio, 4h sono necessarie solo (forse) per conoscersi e fare una cornice teorica sulla leadership e i vari stili dell’essere leader.
Un tema che individuo per questa azienda è legato alla sostenibilità e quanto ne consegue in termine di azioni operative dentro e fuori l’impresa.
Ciò che mi si chiede, ma XY sembra sottovalutare l’obiettivo, è un team assessment, di capire la rilevanza dei fattori di ciascun partecipante, di formulare insieme un piano d’intervento rapido ad personam, di verificarlo on the job e di avere feed back per finalizzare ciascuno dei 6 interventi.
Tutto questo non è possibile in 4h.
Certo vendere fuffa da fornitore potrei farlo, ma ne va della mia reputazione e dignità professionale.
Esplicito a XY le mie perplessità sul tempo a disposizione. Menziono quale potrebbe essere a grandi linee un intervento efficace e XY mi risponde:”Beh, sentendo i vertici forse si può arrivare a 1 giornata”.
XY ha sotto gli occhi la mia pagina LinkedIn in cui è riportata la mia storia professionale, CV, esperienze, testimonianze di clienti, modalità d’azione, progetti, risultati ottenuti, articoli, collaborazioni, associazioni, e chi più ne ha più ne metta.
Eppure mi chiede se posso inviargli un CV. “Scusi, ma perché non stampa la mia pagina Linkedin, che vedo ha sotto gli occhi?”, “Beh, lo chiediamo a tutti, è prassi”, mi risponde XY.
“Guardi, glielo giro subito”.
Dal mio smartphone gli posto il mio cv, sintesi di ciò che ho scritto su LinkedIn.
“Fatto, adesso lo trova sul suo cellulare, con in aggiunta le guideline di un possibile intervento, da finalizzare eventualmente dopo l’assessment insieme con i diretti interessati”. Logico, mi ero preparato per l’incontro.
La sensazione che provo è simile a quella di chi si trova a fare un colloquio per una prima assunzione e non di chi è chiamato per un intervento ad hoc specifico e temporaneo per il vertice aziendale.
Ancora niente caffè. Niente acqua. D’altra parte sono un fornitore. Se dovesse andare in porto la collaborazione, mi sa che dovrei portarmi la “schisceta”.
Sento incertezza. Mio compito è anche quello di aiutare un potenziale cliente a identificare un obiettivo ben formato.
Cerco di portare il mio interlocutore a condividere che le “sue” richieste ricadono sotto un unico titolo:”Come migliorare la leadership personale (e di gruppo) con soddisfazione propria e dei collaboratori”. Tenendo in considerazione un argomento topico: “l’impatto ambientale”, che toccherà il business aziendale.
Conoscermi meglio.
Suggerisco a XY di prendere contatto con alcuni miei ex clienti, a sua scelta, in modo da avere un’opinione non filtrata. Sono citati sia nel mio blog che nella mia pagina LinkedIn.
Può anche farsi un’idea più precisa leggendo alcuni miei articoli, ricchi di esperienze ed esempi pratici, sul tema della Leadership in azienda.
Insieme abbiamo ricostruito il mio percorso professionale, il tipo di aziende per le quali ho lavorato, i temi affrontati e i risultati raggiunti nel team building.
Sottolineo che non ho la bacchetta magica, (in effetti ce l’ho!).
Non enfatizzo né sigle stravaganti del coaching, né metodi “creativi”. Solo dati e informazioni dimostrabili e accessibili.
Evito di citare guru e maestri, riconoscimenti pubblici o altro. Non è falsa modestia. Ma da ex metalmeccanico (vedi la mia autobiografia) sono concreto e sto sul pezzo senza divagare. Non per niente il mio motto è “pragmatismo col cuore”.
“Sentire il cliente”
Per un business coach la relazione con i clienti è essenziale. Io devo “sentire” le persone e l’azienda, il progetto e l’ambiente. Se non provo entusiasmo io, come posso trasmetterlo agli altri?
Inoltre, come accennato, molte informazioni su di me, anche la mia autobiografia, si trovano sul mio blog.
Con ciò non voglio dire che non seguo un metodo.
Considerandomi, metaforicamente, una guida alpina,
mi adatto alle risorse del cliente, identificandole, risvegliandole, aggiornandole, rinforzandole, allenandole.
Tutto con la diretta condivisione del percorso da parte del cliente. Per arrivare a meta.
Aiutare il potenziale cliente ad avere idee più chiare.
Di sicuro, sono riuscito ad aiutare XY a capire in modo più preciso ciò che cerca.
La mia bozza di proposta d’intervento di certo gli serve per afferrare che il team building, la comunicazione interpersonale, la conduzione efficace di riunioni e di team di lavoro, ecc. sono derivate del tema che “insieme” abbiamo concordato.
XY mi chiede quant’è il mio onorario. Logico.
Qui ho due strade: o formulo un preventivo volutamente alto per farmi dire di no perché non “sento” l’anima dell’azienda o procedo normalmente.
Non mi piacciono, però, i bluff.
Un buon professionista costa, perché mette in gioco se stesso e i risultati devono parlare chiaro.
“Bene” dice XY “La contatteremo tra un paio di settimane per farle sapere la nostra decisione”.
Incontro deludente.
XY mi accompagna all’uscita e ci salutiamo. L’incontro non mi ha soddisfatto. Non si è creata quella simpatia o empatia che serve per instaurare una collaborazione di business coaching.
E’ vero che XY non è l’azienda, ma la rappresenta e non ho altri elementi “soft”su cui decidere.
Avrei voluto che l’incontro fosse avvenuto con almeno una delle persone coinvolte direttamente, in ambiente “protetto” per un confronto anche serrato, per capire insieme se avessero davvero bisogno di un business coach e per ottenere cosa. Ritorno all’incontro preliminare nel mio studio.
Mi sono studiato il sito e il bilancio dell’azienda. L’impresa va bene, ma a medio termine potrebbero apparire nuvole che anticipano un temporale. Elementi esogeni, ma ad alto impatto sul business.
Non posso entrare nei dettagli, ma è come la frenata del settore automotive tedesco che colpisce tante aziende meccaniche (e non solo) italiane.
Oppure la spinta che i governi e l’opinione pubblica stanno dando ai veicoli elettrici, obbligando le aziende automotive a una costosissima riconversione industriale (impianti, formazione/competenze, supply chain) e a cercare M&A (fusioni e acquisizioni) per condividere i costi altissimi di ricerca e sviluppo.
Questi vettori di cambiamento vanno guidati e quindi necessitano di una leadership aggiornata, visionaria e audace
Torno alla cronaca.
Salgo in macchina, esco dal cancello, mi fermo dopo 1 km, e dal mio smartphone mando al dr. XY questo messaggio:
”Caro dr. XY, La ringrazio per l’interesse dimostrato, ma non credo ci siano le premesse per una nostra collaborazione efficace. Con una forte stretta di mano, GA”.
Mi sento sollevato. L’incertezza percepita su una scala da 1 a 4 (da alta incertezza a nessuna incertezza) era 2.
Cosa avrei potuto fare in 1(forse) giornata su un tema così impegnativo? E con 6 interlocutori dalle caratteristiche di genere, età, ruolo, formazione diverse? I magnifici 6 erano allineati sulla mission dell’azienda? Neanche una parola ho sentito al riguardo, sebbene XY fosse stato sollecitato con tutti i riguardi del caso, stando io attento a non metterlo in imbarazzo.
Era evidente che XY non era nella situazione di poter rispondere alle domande più opportune, specifiche che riguardavano gli interessati, né era mia intenzione spingerlo oltre il dovuto.
Aiuto sì, forzatura mai.
Contatto diretto
Nel 90% dei casi sono contattato o dal diretto interessato (imprenditore, manager o professionista) o dal responsabile H.R. (Risorse Umane).
Probabilmente XY, a seguito del nostro incontro, è riuscito a formulare una proposta più precisa e specifica per un mio collega fornitore. Auguri.
Oppure avrà indicato al suo referente che forse è meglio che il management frequenti, insieme ad altre centinaia o migliaia di candidati leader, un incontro con qualche valido collega motivatore.
Io confeziono solo abiti su misura.
Ho perso un cliente? Ho perso la probabilità di non fare un lavoro ben fatto e soddisfacente per tutti.
L’etica professionale viene prima dei ricavi. Almeno per me.
Il business coach è il tuo alleato, il tuo “personal trainer”.
Non è un tuo concorrente. Sta al tuo fianco. Per cui la relazione deve essere forte, basata su un patto di collaborazione e rispetto.
Può fungere da sparring partner per allenarti su obiettivi specifici: l’incontro con un cliente importante per una mega commessa, la presentazione di un cambiamento organizzativo, l’incontro con un finanziatore, la risoluzione di un conflitto con un fornitore, ecc.
L’azienda a cui mi riferisco in questo articolo, a mio avviso, non aveva ben chiaro l’obiettivo:
- allineare i membri del CDA su medesimi obiettivi,
- individuare un primus inter pares che facccia da pivot per cambiamenti nel modello di business,
- migliorare il clima aziendale,
- superare la paura di parlare in pubblico,
- ottenere maggiore quota o maggiori margini con una revisione della gamma prodotti,
- spingere l’innovazione e l’invenzione di processo,
- internazionalizzarsi ancor di più,
- preparare un cambiamento generazionale,
- dare un’accelerata alla fabbrica 4.0,
- ristrutturare la rete tecnico/commerciale e i canali di vendita,
- rinforzare il servizio di assistenza ai clienti con sistemi “intelligenti”,
- impostare attività di marketing analogiche o digitali con più professionalità ed efficacia,
- valutare l’applicazione delle tecnologie 5G e IoT,
- accelerare la presa di decisioni,
- migliorare le negoziazioni
- gestire conflitti
- imparare a motivare i collaboratori
- prepararsi a un M&A
- o investire sulla crescita personale e professionale dei 6 direttori come gruppo e come singoli.
Un progetto sulla leadership può preparare a tutto questo, ma non in 1 giorno. Il business coach deve sapere quali sono gli obiettivi.
Troppi i punti oscuri, la confusione d’intenti, non portati alla luce durante l’incontro con XY che ha impostato l’incontro come se dovesse assumere un collaboratore o certificare un nuovo “fornitore”.
Complesso? Per niente
Capisco che ti possa sembrare complesso decidere se prendere con te un business coach efficace.
Il sistema, rilevato più volte parlando con i miei clienti è , invece, molto semplice:
- hai identificato un “mal di pancia” specifico che vuoi risolvere, prima che si cronicizzi, con l’aiuto di un allenatore, (approccio razionale),
- fai un onesto esame di coscienza e “senti” di aver bisogno di un aiuto per la tua crescita professionale e personale (approccio emozionale).
Entrambe funzionano. Nel secondo caso sarà lavorando insieme che riusciremo a tracciare una via da seguire una volta identificato il vero problema da risolvere con risultati duraturi nel tempo.
Per me è essenziale l’incontro col diretto (o con i diretti) interessati o con il Direttore delle Risorse Umane in stretto contatto con chi necessita di un percorso di business coaching.
In parole semplici: ho bisogno del decison maker per un confronto aperto e sincero.
Per dare il meglio, per me è importante il “rapport”, l’empatia che si crea col cliente e il suo ambiente.
Quando entro in un’azienda, mi basta un’annusata, per intuire se mi entusiasmerò del lavoro o se sarà un compito impervio.
Meglio affrontare col cliente, insieme e in collaborazione, un grosso nodo, ad esempio;
- come trasformare l’azienda in un’impresa green ed eco-sostenibile,
- oppure come garantire i margini in un perimetro operativo competitivo,
- come rilanciare o lanciare un marchio,
- come diventare direttore generale,
- come impostare una start-up,
piuttosto che affrontare qualcosa di vago e non definito difficile, in prima istanza, da afferrare.
Nel mio blog e sulla mia pagina linkedIn trovi tanti casi concreti e specifici che ho affrontato in questi anni con i miei clienti.
Contattami esprimendo liberamente le tue necessità.
Io ci sono
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