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Insicurezza mascherata: i venti comportamenti di manager e imprenditori

Giulio Ardenghi

I venti comportamenti di falsa sicurezza esibiti da manager e imprenditori e le conseguenze sui collaboratori e sui risultati. Un test prezioso per chi è pronto a cambiare per avere successo.

In un periodo in cui imprenditori, dirigenti e organizzazioni devono dare il massimo per affronatre la crisi o per contenerla non è più tempo di alibi manageriali.

L’etica della gestione efficace vuole che si correggano miti e si svelino alcuni trucchi del mestiere.

L’intento è quello di portare alla luce con grande rispetto debolezze, carenze, inadeguatezze e intervenire per superarle.

Scoprendo nuovi talenti, rinforzando risorse già esistenti, esercitandosi nel cambiamento, sviluppando competenze per svolgere il ruolo di una vera e autorevole guida (non ho usato la parola “leadership” perché essere un vero leader non è cosa da tutti) all’altezza delle sfide che il mondo presenta.

Il risultato del test di verità è un miglioramento delle prestazioni manageriali e imprenditoriali. Nonchè un ritrovato entusiasmo e soddisfazione per la propria vita professionale e personale.

Di seguito venti esempi di atteggiamenti diffusi che possono essere letti con un doppia chiave di interpretazione, per aiutare a individuare aree dove il coaching può essere utile a ritrovare questo ruolo fondamentale per il successo (non solo nel business).

IL CAPO DURO
ll linguaggio aggressivo e da caserma nasconde a volte una profonda insicurezza personale che viene mascherata con atteggiamenti machisti. Sovente si accompagna a comportameti di forza con i sottoposti e di remissione con i superiori. Può a volte apprezzare chi, se oltraggiato ingiustamente, gli risponda a tono.

IL CAPO SEMPRE IPER–ATTIVO
L’iperattivismo puì nascondere un’incapacità cronica di pianificare il proprio lavoro e quindi quello altrui. L’ultima cosa chiesta dal suo capo è sempre la più urgente. Non ha chiara la differenza fra priorità e urgenza.

IL CAPO DI POCHE PAROLE
Non ha mai tempo per spiegare ai collaboratori le finalità di un incarico. Non inquadra i problemi nel contesto generale. Preferisce dei semplici esecutori. Non è disponibile al dialogo e non si interessa al benessere di chi dovrebbe collaborare con lui. Teme il confronto personale.

IL CAPO CHE VA SEMPRE IN PROFONDITÀ NELLE COSE
È ossessionato dai dati. Richiede sempre ulteriori approfondimenti. Arriva all’analisi=paralisi.

Ispessire con numeri è il suo motto. Può nascondere una grande insicurezza nelle decisioni. Non ha intuizione ed è poco creativo. Non sa che la maggior parte delle decisioni per un manager, alla fine, dopo una opportuna analisi, sono prese di pancia. Se no che manager è?

IL CAPO CHE AIUTA CON LE CRITICHE
A meno che esse non siano rivolte alla persona piuttosto che alla proposta operativa. Umilia il collaboratore facendo leva su presunte debolezze personali. Demotiva. Si circonda di deboli yes –men che per il quieto vivere accettano di tutto. Non sa guidare un gruppo. Non sa dire “Complimenti. Lavoro ben fatto!”. Non elogia i collaboratori.

IL CAPO CHE SEMPLIFICA
Per lui tutto è semplice, veloce, da fare subito. Ma lo fa fare agli altri dando pochissime informazioni. Svaluta i collaboratori dicendo che è un lavoro che si può fare in mezz’ora. Soprattutto quando c’è da correggere o rifare in parte un progetto dice che basta fare un po’ di “copia e incolla”.. Chiede ogni 10 minuti se il progetto è pronto. È sovente un insicuro. Raramente dà valore aggiunto ai lavori di cui è responsabile.

IL CAPO CHE SA FARSI RISPETTARE
Trova sempre qualcosa che non va nel lavoro degli altri. Può arrivare a umiliare in pubblico il collaboratore e non lo difende, anche se ha sbagliato, di fronte ai suoi di superiori prendendosi la responsabilità dell’errore (farà poi un incontro di chiarimento a porte chiuse con ilcollaboratore). Ha probabilmente un problema di autostima che tende a nascondere con la villanìa, l’arroganza e la mancanza di rispetto per gli altri.

IL CAPO CHE SA SPREMERE IL MEGLIO DAI COLLABORATORI
Soprattutto quando chiede di fare un lavoro quando il collaboratore sta uscendo. E forse, il collaboratore proprio quella sera deve andare al cinema con la moglie. Non è rispettoso delle esigenze personali dei collaboratori. Essi sono al suo servizio 24 ore al giorno. Sovente telefona nei week–end per sapere un dato che può benissimo avere lunedì mattina. È invasivo della privacy. Ha problemi di comunicazione e di relazione, forse non solo al lavoro.

IL CAPO SEMPRE AGGIORNATISSIMO
Certo perché fà propri i lavori degli altri. Non menziona i collaboratori quando presenta i loro lavori. È tutto farina del suo sacco. Vive sotto stress per paura di non essere all’altezza, di non essere riconosciuto dai propri superiori.

IL CAPO CHE NON SBAGLIA MAI
Temere l’errore. Piuttosto non fa. O più sovente manda avanti i collaboratori senza adeguata copertura. Difficile che si esponga su cose importanti. Ma è in prima linea sulle minutaglie manageriali. Può nascondere problemi di fiducia in sè e lacune professionali.

IL CAPO STIMATO DAI SUOI
Ma la credibilità dura poco se promette e non mantiene. Usa la lusinga e la larvata promessa di un premio (promozione o aumento) per ottenere dal collaboratore un grande impegno. Peccato che la promozione non l’abbia già nel cassetto e che debba ancora seguire tutto l’iter interno di approvazione.

Alla fine purtroppo dice al collaboratore che “Per quest’anno il numero di promozioni è già stato saturato…ma l’anno prossimo, sicuro!“. Mai prometter ciò che non si può mantenere. È manipolazione e mancanza di rispetto. Può nascondere anche una scarsa capacità di ottenere ciò che vuole. Problemi evidenti di comunicazione e motivazione, oltre che di rispetto per gli altri.

IL CAPO CHE SA COMANDARE
Può esigere che se un collaboratore è in una riunione, anche con esterni, questo pianti tutto per rispondere a una sua chiamata e si precipiti nel suo ufficio. Anche per una cosa che poteva aspettare la fine della riunione. Fa perdere al collaboratore credibilità e autorevolezza di fronte agli altri partecipanti alla riunione con i quali è costretto a giustificarsi malamente come un bimbo “Scusate…ma mi vuole il capo, sapete com’è!”.

È un capo con bassa stima del lavoro degli altri, del loro tempo, della loro reputazione. Il suo problema personale è che c’è qualcun altro che lo comanda a bacchetta, al lavoro o a casa, a cui non riesce a opporsi per pusillaminità.

IL CAPO GRAN POLITICO
Creando continue tensioni fra i collaboratori e mettendoli in conflitto applica la regola del “divide et impera”. Poi si propone come sommo pacere. Mantiene così il suo ruolo. Ottiene scarsi risultati in quanto i manager passano più tempo a farsi le scarpe l’un l’altro che a lavorare insieme efficacemente. Ad alti livelli è ancora diffuso. Ma l’azienda ne risente in qualità e tempestività di reazione. Nasconde la paura del confronto.

IL CAPO CHE STIMOLA IL MIGLIORAMENTO
Peccato che sottolinei sempre ciò che non va in un lavoro. È ipercritico. Non sa valorizzare le doti dei collaboratori. Non si intende di skills mix. Non dà potere (empowerment) ai collaboratori, men che meno margini di delega. Viene dalla scuola che insegna bastone e carota, ma la carota l’ha in freezer. Insicuro di sè. Deve continuamente affermarsi.

IL CAPO COMPLETAMENTE DEDITO AL LAVORO
Non stacca mai. È sotto stress perennemente. Non sa far crescere i collaboratori. “Faccio prima se lo faccio io”. Intanto è oberato di lavoro. Il valore aggiunto è scarso. Diventa un burocrate. I collaboratori sono di scarso livello o poco incentivati a impegnarsi. Gioisce quando gli sottopongono anche la più banale decisione, “Se non ci fossi io” si dice dentro di sè. Completa incapacità di dirigere. Probabailmente ha difficoltà di comunicazione anche in ambito extra–lavorativo.

IL CAPO DECISIONISTA
Si impegna al massimo nel management di manutenzione. Ma diventa Mr. Tentenna quando si tratta di prendere decisioni importanti su progetti, sistemi e persone. Allora rimanda, temporeggia, chiede pareri, fa un‘altra cosa. Sotto stress facilmente. Ansia elevata. Sfiduciato. Insicuro.

IL CAPO CHE SA INCIDERE
E invece usa “il braccino” (metafora tennistica). In tempo di crisi, di decisioni importanti, di reattività strategica non sa mettere in atto cambiamenti risolutivi. Fa quello che ha sempre fatto.

Ha paura del nuovo, di ciò che non conosce o non controlla al 100%. Può essere un buon gestore.

Ma ha scarse capacità di far evolvere un’organizzazione di fronte a sfide inaspettate e dure. Mette in atto molte iniziative di breve durata e di debole effetto. Non fa focusing sui problemi grossi.

Esercita un ruolo di dirigenza conservativa e di mantenimento dello status quo.

IL CAPO CHE VA D’ACCORDO CON TUTTI
È come avere a che fare con la gelatina. Non oppone resistenza anche se non è d’accordo. Ingoia le critiche e persino le umiliazioni pensando allo stipendio, allo status e ai benefit. Per poi scaricarsi, a volte, sul primo malcapitato dei collaboratori che gli capita a tiro o con i fornitori esterni (per esempio l’agenzia di pubblicità, ecc.) che tratta come pezze da piedi. Totale assenza di rispetto di sè, di dignità e di capacità di condurre un gruppo di lavoro.

IL CAPO CHE DELEGA
Manda sovente e all’ultimo momento un suo collaboratore alle riunioni dove dovrebbe andare lui.

Non passa le informazioni, perché è della vecchia scuola che informazione è potere. Meno i collaboratori (e i colleghi) sanno meglio è. Così pensa di rendersi indispensabile agli uni e agli altri.

Peccato che la qualità del lavoro ne soffra e la motivazione della squadra sia bassa.

Si è dimenticato che la delega implica il controllo che gli permetterebbe di dare valore aggiunto ai progetti e di essere lui a battere il tempo e fissare le priorità.

IL CAPO PUNTUALE
Pretende la puntualità nell’esecuzione dei lavori, ma non concorda mai “entro quando?” con i collaboratori. Così li può tormentare e asfissiare sulle scadenze. Arriva sempre in ritardo alle riunioni che deve presiedere con qualche scusa. Manca di rispetto verso gli altri. Non sa fare squadra.

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